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Studi di Armi Antiche

UN PUNTO SUGLI STUDI DI ARMI ANTICHE
Di armi e di armature tardo-medievali e posteriori si sono interessati in molti e a diverso titolo già in antico, da quei trattatisti che cercavano di razionalizzare la composizione dei fuochi lavorati a coloro che hanno affrontato i problemi dell'organizzazione e delle tecniche belliche, talora già cogliendo nell'armamento uno degli aspetti assunti dalla sovrastruttura.
Elementi di « autonomia » si incontrano invece più tardi e di rado, quando traggono i loro stimoli dagli interessi del collezionismo principesco ormai consolidato: a parte le armerie di certi castelli dove si conservavano la spada di Lancillotto del Lago o l'elmo di Attila, era ormai famosa la « Galleria degli Eroi » che Ferdinando d'Austria aveva montato ad Ambras. presso Innsbruck, intorno al 1553, raccogliendovi armi e armature di « uomini illustri » che ancora oggi sono là o a Vienna.
Se poi ci si vuole riferire più specificamente a una ricerca scientifica, o almeno sistematica, allora il terminus ad quem non può essere che il trattato di Francis Grose, A Treatise of Ancient Armour and Weapons, uscito a Londra nel 1786 a precorrere il movimento romantico. Non erano passati che sei anni da quando a Firenze era andata dispersa all'asta (ma a peso di ferro) la grande Armeria Medicea — e roveresca — per la frigida determinazione illuminista di Pietro Leopoldo di Lorena che voleva far posto alle predilette collezioni di antichità etrusche, ai medaglieri e alle quadrerie (le collezioni scientifiche erano già state esiliate a Pisa) non trascurando l'opportunità di eliminare un residuo mediceo e con l'interessato concorso di alcuni suoi funzionari.
Il movimento romantico costituì un retroterra culturale che recuperò armi e armature alla coscienza critica contemporanea, nella sua versione di « sensibilità » e di revival neogotico, ma questo fu solo il primo passo, seguito da altri che hanno tracciato piste diverse ma alla fine convergenti nel rilancio dello specifico. Il primo percorso passa attraverso tutte le contraddizioni subalterne a livello evocativo, e diremmo oggi di massa al di là del diverso grado di informazione, coinvolgendo élite, grosso pubblico e strati popolari. Grandi veicoli ne furono il romanzo « storico » alla Walter Scott o dumassiano (da noi i Fieramosca e i Niccolò de' Lapi) la scrittura anch'essa « storica » o l'architeittura dei « saloni gotici », a seconcla del censo e del gusto. Tra gli strumenti, il pittore, l'arredatore — che c'era già, demiurgo del kitsch medievaleggiante — e soprattutto il mercante antiquario, sovente . « restauratore » fantasioso quanto truffaldino. In una società dove la casta e l’aristocratismo pesavano ancora fortemente ed erano di per sé fattori di egemonia, anche le armi e le armature poterono assumere valori emblematici da strumentalizzare accortamente. D’altra parte accanto al revival romantico e dopo di esso i filoni contradittori ma a guardar bene, anche complementari — del decadentismo e del positivismo, utilizzarono in molti modi la suggestione e icontenuti dello specifico dal pietoso dramma in versi alla puntuale ricerca sui documenti. Per tutto l’Ottocento si delinca quindi un intreccio culturale sociologico ed economico (perciò, se vogliamo, a dimensione di interesse politico) che muove gli approcci e gli studi, anche se — naturalmente — la situazione è diversa nei vari paesi e perciò sono differenti le linee lungo le quali si imposta e viene condotto il lavoro.  In Inghilterta si afferma molto presto una notevole ricerca sulle fonti documentarie ed escono le prime illustrazioni di armerie, ricche di annotazioni significative; predomina l'interesse per il materiale, per la testimonianza che può dare e il rapporto che istituisce col dato storico (della «storia » del paese in ispecie. É un atteggiamento coi piedi saldamente piantati, con una capacità di elaborazione precisa e severa, che si può ritrovare anche negli studi successivi sino ai più recenti. In Francia il discorso è già diverso, fortemente caratterizzato da elaborazioni estetizzanti, e si tende a privileggiare il pezzo « bello » o appartenuto al grande personaggio, c'è il gusto dell'aneddoto e il piacere dello stile brillante, causeur; tuttavia questo è il solo paese dove si impostano anche ricerche di storia economica appropriate, in particore sulla redazione di « Archeologia Medievale », nell'intento di offrire un servizio a lettori e collaboratori, ha chiesto a Lionello Giorgio Boccia di rispondere ad alcune domande relativamente alla genesi degli studi sulle armi e le armature medievali in rapporto con le esigenze scientifiche da una parte e le influenze del mercato antiquariato dall’altra, cercando di offrire inoltre alcune indicazioni bibliografiche fondamentali. A queste domande l'A. risponde con brevi indicazioni che vogliono essere soltanto l'inizio di una più stretta collaborazione. commercio medievale e rinascimentale delle armi, che oggi proseguono in Belgio. In Francia però si ha un poderoso concorso di circostanze coll'avvento di Napoleone III: un imperatore amantissimo delle armi antiche — ed eccellente studioso, per sua parte. di storia delle artiglierie — che può avvalersi di un « soprintendente » alle belle arti altrettanto esperto e grande collezionista, de Niuwrkerke, e di un architetto arbitro di cultura come fu Viollet-le-Duc, e Parigi diviene subito uno dei luoghi deputati del mercato e della ricerca, sino al primo conflitto mondiale. In Italia Carlo Alberto rappresenta la versione aristocratica ma superficiale di queste temperie, ma nel nostro paese mancano determinate premesse, né si è mai stati amanti delle arti « meccaniche ». Alle armi antiche si dedicano perciò pochi militari come Quarenghi Montù e Angelucci, o uno studioso atipico come il domenicano Guglielmotti, con lavori che privilegiano la ricerca d'archivio, alla quale si rifanno anche altri studiosi di storia dell'arte e di storia patria, soprattutto verso la fine del secolo o poco dopo. Il secondo tempo della ricerca specializzata prende però il via, e non a caso, nel mondo di lingua tedesca, confluendovi motivazioni nazionalistiche e aristcratiche, militarismo, filologia positivista. É qui che sul finire del secolo viene fondato quel « Verein fur historische Waffenkonde » che esiste ancora oggi col nome poco cambiato, e che ha costituito il punto di riferimento più significativo per questi studi, dando vita a una rivista prestigiosa che dal 1897, con la sola interruzione di pochi anni nel secondo dopoguerra, ha sviluppato e approfondito gli studi scientifici specializzati. Dietro a tale istituzione c'era agli inizi i Krupp e i principi del sangue tedeschi e austriaci, alti esponenti della casta militare e borghesia esclusiva, che accanto allo Herr Professor e al direttore di museo facevano una precisa politica culturale; poco a poco, su tale retroterra, si configurò una indagine più caratterizzata in senso autonomo, anche se fortemente segnata dal rigore aristocratico e accademico, che a mio avviso è ancora presente negli attuali apporti provenienti da quelle aree. Questo atteggiamento era presente anche in Russia e nell'Europa del Nord, dove se mai si poteva già cogliere un intreccio più consapevole con la ricerca direttamente archeologica, che ha continuato a dare frutti eccellenti fino ad oggi.
Non mi sembra di poter dire che con la scienza marxista sia cambiato l'approccio metodologico al tema. Ho già rilevato la eccezionalità di ricerche di storia economica legate direttamente alla produzione delle armature e delle armi, il che è incomprensibile dato che in tale specifico si può seguire tutto il processo che dalle botteghe artigiane sviluppa una grande organizzazione di capitale monopolitisco internazionale, e non esagero In Italia, ad esempio, già nel Trecento è documentabile nella distinzione tra il corazzaio (che materialmente fabbrica e vende il suo prodotto) e l'armaiolo (che è il grande mercante d'armi, con diritto all'export-import) l'ingresso del grande capitale finanziario sul mercato e il suo controllo degli scambi. Nel Quattrocento poi il ciclo è completo: una grande impresa ha il possesso e l'uso delle cave del materiale ferroso, i diritti sui boschi e la proprietà dei forni per ridurlo, il controllo dei mercati del grezzo, il possesso dei mulini per le lavorazioni, con diritti speciali sui corsi d'acqua, una organizzazione interna specializzata,  tipizzata e parcellizzata, filiali all'estero con una rete di corrispondenti e propri lavoranti distaccati per l'ultimo aggiustaggio delle forniture, un proprio giro di capitali con lettere di credito: che si vuole di più? L'ordine di grandezza delle operazioni è presto detto: in pochi anni si prestano cifre da capogiro — fornendo armi o danaro — a pari a quote altissime dei bilanci dello stato (e si sostengono i golpes, come quello di Francesco Sforza contro la Repubblica Ambrosiana). Eppure, con un materiale così disponibile, non vi sono ricerche specifiche neppure di studiosi di formazione marxista. Per quanto mi riguarda, non ho mai avuto la possibilìta di occuparmi espressamente di questi aspetti — chi ha detto che la ricerca è libertà — ma per altri il disinteresse, o la disinformazione sono effettivi. E se si vuole trasferire il discorso dalla storia economica alla storia dell'arte o alla « storia storia », le cose sono ancora più gravi. La cultura marxista è qui inesistente; la stessa produzione degli studiosi dei paesi dell'est europeo non si distingue a sufficienza, con pochissime eccezioni — quasi solo presenti nella ricerca archeologica — e vi si può scorgere semmai una componente più legata alla distinzione politica corrente che ad una impostazione di fondo anche là dove il richiamo all'analisi marxista sia invocato (più invocato che applicato) come talvolta accade. All'est però, è determinante un uso diverso del fenomeno museale il più sovente didattico e attivo, con un recupero di approcci che vanno nella direzione giusta svolgendo un ruolo preciso di acquisizione culturale. Quanto al possibile rapporto tra lo studio delle armi e delle arımature e l'archeologia, e attraverso l'archeologia con la storia della cultura materiale, e quindi con la storia economica, e le necessità di una crescita autonoma della discipline ritengo — non per annegare lo specifico in un « reale circostante » accomodato — ma perchè ne sono profondamente convinto, che i due momenti devono essere fatti crescere insieme: da una parte deve aumentare la somma di conoscenze specifiche per distinguere i nessi interni della problematica (che vanno dagli sviluppi delle tecnologie e delle tipologie, ai filoni regionali — di cultura e di territoro — o nazionali, dai fatti decorativi alle relazioni col costume civile) dall'altra vanno approfonditi e riarticolati gli studi economici e storici, privilegiando i nessi tra le diverse esperienze e istituendo precisi rapporti con discipline come l'archeologia, specie per il discorso davvero centrale che la storia della cultura materiale può rivolgere anche allo studioso del nostro campo. Mi sembra però di cogliere la presenza di qualche diversa « variabile », da identificare nel fatto che la classe subalterna si è posta in modi differenziati rispetto al problema dell'armamento, che vanno dalla sua « progettazione » e fabbricazione (e già i due tempi comportano implicazioni in parte almeno non coincidenti) a forme d'uso anche assai diverse per modo e per soggetti che pongono alcuni problemi specifici anche se non più sottili che in altri campi d'indagine. Bisogna a mio avviso, inoltre, superare i miti del « messaggio » che un pezzo può trasmettere, e che non è quasi mai completo. Se, ad esempio, oggi volessimo « capire » un assaltatore supersonico solo attraverso il suo esame diretto giungeremmo certo a darne una lettura tecnica e funzionale; potremmo anche risalire a una sua spcifica filosofia d'impiego, ma non a individuare la diversa organizzazione economica e sociale che sta dietro alla sua produzione poniamo negli U.S.A. o nell'Unione Sovietica e quindi a coglierne la reale collocazione nel quadro di appartenenza. L'arma in sé trasmetterebbe un messaggio parziale, e perciò ingannevole se non correlato ad altri dati. Così andrebbero viste anche le armature e le armi antiche, nei nessi degli apparati di conoscenza economica sociale e tecnica, delle metodologie di ricerca delle esperienze di conservazione in quanto beni culturali, per capirle storicamente e insieme attutalizzarne lo studio.
Uno dei momenti più notevoli di un simile impegno non esaustivo ma di grande respiro, è già dietro di noi da quarant'anni (lo studio di Thordeman sulle armature scavate a Wisby) ma è un esempio rimasto isolato e oggi occorre un grosso sforzo nell'organizzare per le nostre ricerche un sistema di coordinate di riferimento che stia in qualche modo dentro a una simile visione delle cose.  Collezionismo pubblico e privato, e rapporto tra questo col mercato, sono altri aspetti che presentano problemi complessi. Le raccolte di armi antiche dello stato degli enti locali e di altri enti sono complessivamente imponenti per quantità e livello qualitativo, e in Italia si assiste da quindici anni a un notevole risveglio d'interesse per la loro sistemazione e per il loro studio, tutto ciò però avviene sulla base di richieste del mercato editoriale che vanno crescendo, o per l'iniziativa attenta di qualche singolo funzionario avente un « coefficiente personale » sopra la media, ed è caratteristico il fatto che nel nostro paese siano da contare sulle dita delle mani — e ne avanza — i musei d'armi affiancati in qualche modo da specialisti (tutti « laici »). Altrove ciò sarebbe incomprensibile, e come minimo vi sarebbero specialisti di settore « in carriera ». É quasi divertente che da noi il Ministero dei Beni Culturali abbia impegnato alcuni studiosi intorno al grosso problema delle schedature specialistiche quando ha dovuto occuparsi dell'applicazione (e delle conseguenze per le raccolte pubbliche) delle disposizioni legislative sulla detenzione di armi emanate a difesa di un ordine pubblico certo non minacciato dalle alabarde e dalle terzette a ruota (e anche tale impegnativa decisione è dovuta all'iniziativa di pochi cervelli e non a una scelta politica più generale ). In ogni caso, i nostri musei non tendono istituzionalmente a produrre cultura, e ciò può bastare a definirli, eppure essi potrebbero, per i grandi ed eccellenti fondi che conservano, intessere con l'università e la scuola, col mondo della tecnica, con le associazioni culturali di base, rapporti particolarmente vivi; potrei citare esperienze molto positive in questo senso, anche se rimaste isolate, e l'interesse col quale è seguito l'unico corso specializzato esistente a Firenze. La presenza di solide strutture scientifiche museali attive potrebbe anche servire di riferimento e di controllo per il collezionista privato che è quantitativamente ragguardevole e talvolta notevole anche per la bontà di pezzi ma che in Italia si appaga, per la medesima parte, di un mercato inadeguato e di una informazione che è già caritatevole definire approssimativa, ben lontani dai livelli poniamo svizzeri o inglesi. Oggi si raccolgono soprattutto armi da fuoco, poi armi bianche, poi parti di armature (le armature sono ormai rarissime) e infine i cosiddetti « militaria », dal bottone di uniforme alla tanica da jeep; quest'ultimo è anzi il campo in maggior crescita di interessi. In parallelo ci sono — e vengono commissionate — più pubblicazioni per le armi da fuoco e le uniformi che non per gli altri settori, a riflesso culturale — e più sovente sottoculturale — della forza del mercato. Vengono raccolte più armi da fuoco antiche perché ve ne sono di più, anche di rimontate o in tutto false, e perche vi si aggiungono i tipi più moderni e addirittura le repliche rifabbricate oggi con tutti — o quasi — i crismi, molte armi da fuoco hanno anche prezzi ancora abbordabili dall'esordiente, e questo è un altro fattore di impulso (ma le armi africane e orientali si trovano a prezzi ancora minori, e però pochi le ricercano o studiano ). In complesso l'arma da fuoco è più vicina all'esperienza attuale del grosso pubblico, ed è questa forse la ragione vera del suo trend; si può fare il paragone col maggiore interesse che l'Ottocento riservava alle armi bianche, apparentate alla spada che godeva ancora dei riflessi di un rango sociale, senza parlare delle armature che facevano così tanto tono da dare vita a un'industria di copie — soprattutto tedesche e francesi — che oggi possono avere anche una grande rilevanza scientifica. Il collezionismo privato, ma certo non solo quello di armi antiche, al quale viene abbandonata una massa tanto cospicua di materiale ( lo stato italiano ha fortunosamente comprato solo una collezione privata, nel 1959 ma quante di esse sarebbero almeno da notificare? e quanto materiale — pur notificato — è uscito dal paese? ) deve essere in qualche modo controllato e in ogni caso, fatto produrre culturalmente per esempio attraverso schedature obbligatorie a spese dei possessori.
L'impegno deve essere generale, certo, e non può riguardare un solo settore ma ritengo che già nel nostro, forse più che in altri, possano ritrovarsi alcune condizioni necessarie per muoversi in questo senso, soprattutto appoggiando attuabili iniziative regionali e all'interno di una linea che sviluppi pienamente il rapporto tra strutture culturali e nuova utenza. Un discorso appena ragionato sulle fonti bibliografiche richiede un intervento a parte, che potremo insieme fare se la rivista lo riterrà utile; in questa sede devo limitarmi ad alcune indicazioni essenziali. Sull'armamento in generale, con serietà scientifica ma con intenti di stimolo a un primo approccio, è molto valido lo Ullstein Waffenbuch di H. NICKEL, Francoforte s.M., 1974. Un trattato quasi completo (mancano le armi da fuoco) e complessivamente ancora valido è costituito dai cinque grossi volumi di G. F. LAKING, A record of european armour and arms, Londra, 1920- 24, e sull'armatura in generale è molto buono European Armour di C. BLAIR, Londra 1958 (ried. 1975). Per l'armatura italiana in particolare vanno studiati: O. GAMBER Stilgenschichte des Plattenharnisches von seinen nfängen bis um 1440, e rispettivamente von 1440 his 1510 in « Jahrbuch der Runsthistorischen Sammlungen in Wien » 1953 e 1955, nonché (dello stesso) Der italienische Harnisch in 16. Jatrbund.rt ibid., 1958; B. THOMAS e O. GAMBER, L'arte milanese dell'armatura, in « Storia di Milano », 1958; L. G. BOCCIA e E. T. COELHO, L'arte dell'armatura in Italia, Milano, 1967; F. ROSSI, Armi e armaioli bresciani del '400, in « Ateneo di Brescia », 1971; sempre per le armature va assolutamente meditato, come esempio di ricerca integrata, B. THORDEMAN, Armour from the battle of Wisby 1361, Uppsala, 1939. Per le armi bianche in generale è ben orientativo il Blankwafien di H. SEITZ, Braunschweig, 1965-68, e per l'Italia vale L. G. BOCCIA e E. T. COELHO, Armi bianche italiane, MiIano, 1975. Sulle armi da fuoco sono ottimi e complementari The art of the ganmaker, di J. F. HAYWARD, Londra, 1962-65, e il Fenerwaffen di A. HOFF, Brannschweig, 1969, entrambi in due volumi, e — per 1'Italia — C. DE VITA, Armaioli Romani, Roma, 1970 e M. TERENZI, Gli armaioli anghiaresi, Roma 1972, nonché due saggi. L. G. BOCCIA, Gli Acquafresca di Bargi, in « Physis » 1967, N. DI CARPEGNA, Notes on central italian firearms of the eighteenth century, in « Journal of the Arms & armour Society », 1971-74. I cataloghi sono molti, ma per la massima parte superati; recentissimo ed eccellcute B. THOMAS e O. GAMBER, Katalog der Leibrüstkammer, Vienna 1976 col primo volume-catalogo dei quattro che aggiorneranno la Waffensammlung. Cataloghi italiani pienamente attendibili sono: N. DI CARPEGNA Armi da fuoco della Collezione Odelscalchi, Roma 1968, N. DI CARPEGNA, Antiche armi dal sec. IX al XVIII già Collezione Odescalchi, Roma 1969 F. ROSSI e N. DI CARPEGNA, Armi antiche dal Museo Civico Marzoli, Milano, 1969; L. G. BOCCIA, Il Museo Stibbert a Firenze: l'armeria europea, Milano 1975. Per quanto riguarda i manuali, ne esiste per ora solo uno aggiornato, il Glossarium Armorum-Arma Defensiva, Graz 1972, di vari autori, con un fascicolo di tavole e altri sei di nomenclatura in italiano, tedesco, inglese, francese, danese e ceco; l'Istituto Centrale del Catalogo del Ministero dei Beni Culturali sta preparandone uno più completo, per le armature le armi bianche e quelle da fuoco, da servire di base alle schedature e che dovrebbe comparire entro la primavera del 1978. In questo, saremmo all'avanguardia. Infine le riviste, delle quali vanno proposte almeno tre: anzitutto la ricordata Waffen-und Kostümkunde, Zeitschrift der Gesellschaft fur historische Waffen-und Kostumkunde, che si pubblica a Monaco di B.; The Journal of the Arms & Armour Society, che si stampa a Londra; e infine Gladius, organo dell'Istituto de estudios sobre Armas Antiguas, pubblicato a Madrid. Questa brevissima panoramica si limita ad indicare fonti « sicure » e reperibili senza difficoltà; ne restano quindi escluse molte opere irnportanti e anche riviste, italiane e straniere, per le quali è necessario un discorso più articolato, e altri lavori che richiedono una preparazione già in grado di una lettura in trasparenza.
by LIONELLO GIORGIO BOCCIA